Ferrovia in miniatura Conti , piccola Arte Lombarda (dal primo dopoguerra all'inizio degli anni 60), un blog sul Collezionismo dei trenini Conti (CO.MO.G.E.) ……….. e non solo ……. Arte, Storia e Cultura fanno da contorno ai nostri beniamini ….Vostri commenti e suggerimenti sono graditi e ci aiuteranno a migliorare il Sito…ed ora usa il motore di ricerca qui sotto immettendo un nome, una parola, un argomento e dai INVIO
“K&spada” – Leggende Conti
“K&spada” – Leggende Conti
LEGGENDE
Leggenda n° 1 – Gino Bechi grande estimatore dei treni Conti
Questa leggenda è in gran parte fasulla. Si tratta dell’ennesimo caso di stravolgimento della verità storica ad opera del vociferare ignorante, intendendo con tale vocabolo “ignorante” non il significato esteso e dispregiativo, ma semplicemente quello stretto di “mancante di conoscenza”. Purtroppo tale fenomeno presente nella natura umana e nel corso della storia già ampiamente sfruttato per scrivere e riscrivere le vicende ad uso dei più abili, con internet assume delle proporzioni esponenziali: qualunque cosa si scriva su internet, vera o fasulla, diventa indistruttibile e si replica all’infinito.
Il celeberrimo cantante lirico Gino Bechi fu grande appassionato di trenini in miniatura, ma non certo particolarmente dei Conti. Anzi. Gino Bechi amava la riproduzione modellistica e già allora nel senso in cui oggi si intende, anche se all’epoca non si era ancora ai livelli maniacali odierni. Evidentemente non potevano esser i trenini Conti ad avvicinarsi a tale concezione. Lo sappiamo tutti, lo abbiamo detto in ogni salsa, i treni Conti non erano riproduzioni modellistiche come già invece tentavano di esserlo i Rivarossi in campo nazionale. Solo all’inizio della produzione, quando infondo i cugini Parretti espressero il meglio di loro, le littorine e gli elettrotreni, per quanto approssimati, erano in linea con gli standard del fermodellismo di quei primi anni del secondo dopoguerra. Tutta la successiva produzione rappresentava giocattoli di qualità all’antica sempre più lontano dalla riproduzione modellistica in senso moderno.
Perciò quando Gino Bechi si presentò in TV da Mike Bongiorno, nel magnificare la passione per i trenini, lo fece recando e mostrando a tutti gli Italiani incollati ai quei primi tubi catodici lunghi e stretti, un bel trenino Rivarossi…
Ciò non incontrò il gradimento della Conti che in tale comportamento ravvisò una concorrenza sleale e un danno materiale. La questione transitò velocemente da raccomandate (la posta funzionava bene all’epoca), carte bollate e avvocati. Infine prima di approdare sullo scranno di un giudice, la questione rientrò con un arbitrato che stabilì alcuni gesti riparatori.
Fu così che Gino Bechi si ripresentò in TV da Mike Bongiorno mostrando e magnificando un trenino Conti; poi si recò in visita allo stabilimento di Bollate, presenziando a ricevimenti in pompa magna con le immancabili autorità locali e non ultimo, con la devoluzione in beneficienza di una determinata somma.
Le foto in bianco e nero della visita allo stabilimento di Bollate non rappresentano solo un fatto di cronaca: sono il quadro di un’epoca. Oltre al cantante ci sono tre classi sociali: gli operai di sempre, i nuovi imprenditori, ampiamente emblematici di un mondo imprenditoriale volonteroso e fervente dal basso uscito dalla guerra, e infine il vecchio potere. Si vede un Gino Bechi tra i banchi di produzione e nelle officine, tra operaie in camice nero che continuano a lavorare a testa china mentre solo abbozzano un timido sorriso con sguardo sottomesso, imprenditori e dirigenti in giacca un po’ sgualcita o camicia per l’occasione troppo perfetta, la sigaretta tra le dita, intenti a dimostrare essi stessi una lavorazione al tornio, in netto contrasto col portamento e l’abito elegante indossato dal baritono e i cappotti di lusso dei proprietari dello stabilimento, dall’espressione distaccata e formale, con sguardi parabolici, come ufficiali di cavalleria che osservano dal colle manipoli di fanti arrancare nel fango.
Leggenda n° 2 – Gino Bechi e il Settebello (1)
La vulgata recita che il baritono durante la visita a Bollate
sia rimasto folgorato dal Settebello come S.Paolo sulla via di Damasco, però essendo il treno prodotto in configurazione commerciale ridotta a solo tre elementi , il Bechi avrebbe richiesto una produzione speciale per lui di un treno in configurazione reale di sette elementi, ispirando così la produzione di un modello che poi non comparve mai a catalogo.
Anche tale ricostruzione è sicuramente fantasiosa.
Non esistono date certe di inizio della produzione del Settebello (quello a catalogo di tre elementi), ma ci sono prove che al momento della visita a Bollate il treno non fosse ancora in produzione.
E’ invece assai probabile se non certo che il Bechi ordinò successivamente un Settebello in configurazione reale, anche perché all’epoca (e per molto tempo ancora restò) il Settebello Conti era l’unica riproduzione di quel treno, preciso o approssimato che fosse,faceva la sua impressione anche a un purista contachiodi.
Leggenda n°3 – Gino Bechi e il Settebello (2)
Ormai quasi del tutto debellata dall’evidenza, fino a una decina d’anni fa circolava anche la voce che di Settebello a sette elementi ne fosse stato prodotto uno solo: quello per Bechi appunto. In forza di ciò ogni qual volta si vociferava di un miracoloso rinvenimento di Settebello a sette elementi , immancabilmente si trattava di quello di Bechi, la cui sorte per altro resta avvolta nel mistero.
Di nessun modello sappiamo quanti ne siano stati prodotti, possiamo solo ipotizzare a livello statistico in rapporto a quelli che troviamo e che vediamo presso i collezionisti, se ne son stati prodotti pochi, tanti , pochissimi o tantissimi. Di sette elementi certamente ne son stati prodotti pochissimi: non era a catalogo, era fabbricato a richiesta e costava moltissimo (pare 100.000 negli anni ’60), se ci aggiungiamo che in pratica c’è il dubbio che riuscisse a circolare se non in rettilineo e che ci volevano tre persone per spostarlo senza romperlo … si capisce che non potesse esserci una grande produzione. Censiti in mano a collezionisti ce ne sono almeno una decina , pertanto è lecito applicare un moltiplicatore di due o tre per includere tutti quelli andati distrutti o giacenti presso ignoti, immemori ed orbi di tanto spiro.
Leggenda n °4 – Colori a caso
All’inizio ci ho creduto anch’io. Una dei luoghi comuni più radicati è immancabilmente rappresentato dalle seguenti affermazioni:
“A seconda di come si alzavano la mattina” oppure “quando finiva la tolla di un colore ne prendevano un altro”.
All’inizio ci ho creduto anch’io. Ma non è vero. I cugini Parretti erano ex-ferrovieri e conoscevano bene i colori di macchine carri e carrozze. Tolto il caso delle confezioni del locomotore “Cucciolo” i cui colori sgargianti avevano una spiegazione specifica nella destinazione del giocattolo, tutti gli altri modelli avevano colorazioni, per quanto approssimate, comunque con una ragione d’origine. I superficiali assertori della teoria delle tolle, con facile ironia probatoria, additano spesso il colore rosso-blu di alcune littorine, ma proprio quella colorazione fu adottata da un modello di automotrice circolante forse proprio dove uno dei Parretti faceva servizio.
Altrettanto può esser detto del giallo sabbia adottato per i 424 e per le altre littorine. Si tratta semplicemente della interpretazione dell’isabella originariamente assai chiaro di quelle macchine reali.
Tale interpretazione era del resto assai diffusa al’epoca in un po’ tutte le produzioni fermodellistiche. Locomotori e littorine Biaggi, i locomotori FAGE , le littorine FEM, ecc. il colore era del tutto simile. E ancora le numerose combinazioni di colore delle carrozze a due assi che, seppure in tempi lontani e diversi della storia delle ferrovie reali, sono esistiti.
Leggenda n °5 – Combinazioni a caso
All’inizio ci ho creduto anch’io. “Mettevan dentro quel che capitava”… nelle confezioni. Cioè si crede che tolta la macchina che rappresenta la discriminante, i carri o le carrozze fossero incluse senza logica.
Anche questo è falso. Il fatto è che il modesto quantitativo di confezioni integre che si incontrano non permette ai più di farsi una statistica mnemonica delle ricorrenze essendo per contro molte le combinazioni previste a catalogo. Quindi si tende a veder sempre cose diverse e si conclude che non ci fosse una regola. Ma non è così. Del resto per rendersene conto basta leggere i cataloghi che rispondono spesso ai dubbi amletici che mi sento porre… , già basterebbe leggere, non solo guardare le figure !
Carri e carrozze nelle confezioni erano inclusi con logiche stabilite. Quando si legge sul catalogo “ tre carri assortiti” significa due di costo basso (solitamente due pianali, uno alto e l’altro basso) e un terzo più prezioso (solitamente trasporto di auto, o una gru o una cisterna ecc.).
Nel caso delle configurazioni denominate espressamente “Trenino Elettrico Conti” lanciate nel 1952 con scatola avente etichetta diversa da tutte le altre e contenente le nuove macchine serie 3000 col nuovo armamento “economico”, le carrozze passeggeri avevano combinazioni di colore diversi.
Il locomotore a due assi in C/C della serie 6000 color giallo sabbia con armamento in alluminio era sempre abbinato a due carri pianale a sponda bassa con ruote in bachelite, come scritto sul catalogo e come rappresentato nell’immagine colorata.
Nel caso di successive confezioni con carrozze a due assi è sempre presente un bagagliaio e una o due passeggeri.
Questi sono solo degli esempi ma in generale non si sfugge alle suddette regole. E pur vero che saltuariamente potesse accadere che al momento dell’acquisto il commerciante soddisfacesse le richieste del cliente sostituendo i carri della confezione con altri sfusi, ma solitamente quando ci capita di vedere scatole con situazioni strane non è perché “Mettevan dentro quel che capitava” ma perché “quel che capitava” ce l’ha messo poco prima qualche incompetente…
Leggenda n °6 – Prototipi
Periodicamente si osserva una serie di fenomeni “ai confini della realtà” che per legittimarsi, anche in buona fede, non mancano di avvalersi di qualcuna delle altre “leggende” prima esposte.
Dicesi prototipo di un modello, l’esemplare n° zero. Quello su cui è stato fatto lo studio per poi effettuare la produzione di serie una volta apportate tutte le modifiche e migliorie necessarie. Potrebbe anche esserne esistito più di uno, ma insomma, uno o due … Soprattutto potrebbero in teoria esser esistiti prototipi di modelli mai prodotti, esperimenti accantonati ecc. Accade dunque che esemplari che mostrano importanti e talvolta inspiegabili differenze rispetto al modello comunemente conosciuto, entrano subito in odore di “prototipo” e ne rischiano la canonizzazione per direttissima.
Ecco dunque un esemplare grossolano di 424 metallico di evidente produzione artigianale dilettantesca che viene facilmente supposto come prototipo di Conti. Ecco un altro esemplare di macchina Conti con delle modifiche palesemente sperimentali, sì, ma ad opera di qualche antico appassionato o di qualche meno antico buontempone che diventa subito “modello sperimentale”. Particolarmente, certa parte del mondo fer-commerciale, per esempio su internet, tende a etichettare come “forse Conti” qualunque cosa non sappia catalogare. E’ spesso un modo per valorizzare qualcosa altrimenti non valorizzabile e anche in questi casi l’ipotesi proto-tipica sostenuta dalle leggende sulla estemporaneità della produzione Conti , si sprecano.
A mio avviso, di modelli sperimentali o di prototipi, in giro non ce ne sono. L’unico che ho visto, per certo autentico trovandosi in mano del figlio del progettista, è lo studio della interconnessione tra i moduli del Settebello mediante soffietto, soluzione poi accantonata. Ma si tratta solo di un misero particolare. Macchine intere non avevano “prototipi” dei vari stadi di progettazione. Facevano un mantello di legno e lo lavoravano fin quando piaceva, vedevano come adattarci uno dei tipi di carrello che già esistevano, e cominciavano a lavorare lo stampo . Il primo esemplare che producevano, forse lo mettevano in archivio, ma più probabilmente lo vendevano come gli altri. Ma era identico ai successivi fino a che lo stampo non era esausto. Con la ripetizione dello stampo potevano esserci delle modifiche di particolari, e via così.
Macchine intere, successivamente mai prodotte in serie, non possono esserne esistite perché se decidevano di accantonare il progetto lo facevano prima di produrre gli stampi che , si sa, sono la parte più costosa.
Qualcosa di simile accade anche con certe colorazioni “inusuali”. Ne ho sentite davvero “di tutti i colori” !
Ma i colori sono sempre quelli, con le dovute rarità si intende. Ci sono i 424 verdi, c’è qualche littorina azzurra, c’è il 554 blu, c’è il 530 giallo sabbia. Ma si tratta di rarità, ma sempre di serie e non perché fosse terminata la tolla. Se poi per scherzo o per specifica richiesta di qualche estroso, qualche singolo esemplare fosse anche uscito di fabbrica con un colore strano o con delle modifiche strutturali, non fa di questi dei prototipi ma semplicemente delle “curiosità”.
Un caso diverso ma sempre a rischio di canonizzazione proto-tipica è quello di conversione di macchine da C/A a C/C. Vari sono i casi che ho riscontrato nel tempo, sempre ad opera di qualche antico proprietario desideroso di riutilizzare una vecchia macchina sui nuovi circuiti. Questi interventi sono facilmente riconoscibili, ma almeno in un paio di casi si è potuto stabilire con ragionevole certezza che l’intervento è avvenuto in fabbrica. All’epoca era usuale mandare in riparazione le macchine direttamente in fabbrica a Bollate, ne ho evidenza documentale. Dunque è del tutto possibile che ci siano state richieste dirette di conversione. Dunque una macchina prodotta in serie solo in C/A, e modificata in C/C come può esser classificata …? Un rarissimo prototipo se la modifica è di fabbrica? A mio avviso non è nulla di tutto ciò. E’ semplicemente quello che è: un modello modificato.
Altro caso ricorrente in cui si invoca la patente di prototipo è l’assemblaggio arbitrario di modelli inesistenti o con particolari non conformi al tipo originale. Anche per questi casi ci si fa ampiamente soccorrere dalle leggende varie del “ogni giorno li facevan diversi”.
E’ così che su internet sono ormai consolidati ad imperitura memoria carri pianale con sponde che trasportano camion o macchinine Mercury le quali erano invece poste esclusivamente su pianali senza sponde. E del resto ad una mia contestazione, il contestato ha ribattuto che non ero in grado di dimostrare che dalla fabbrica non ne fossero mai usciti in quel modo. Ed aveva ragione piena: è impossibile una simile dimostrazione, quindi mi sono ritirato, pur essendo certissimo della mia ragione. Questi ultimi casi comunque identificano la categoria fiorente dei falsi costruiti con parti originali. Categoria subdola.
Ora vi saluto: ho un paio di 424 scassati che credo mi aiuteranno a trovare al mercatino di Bollate (seconda del mese) il prototipo dell’accantonato progetto di Conti 636 a 3 motori… (con l’avanzo di uno).